L’ assenza della volontà di procreare non basta per paralizzare la dichiarazione giudiziale della paternità naturale. Infatti il diritto all’anonimato della madre non può essere assimilato all’interesse del padre naturale che intenda sfuggire alla dichiarazione di paternità naturale, negando la sua volontà diretta alla procreazione.
Questo è quanto confermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 37023 del 26.11.2021.
La vicenda
Una donna agiva in giudizio nei confronti di un uomo con il quale aveva avuto una relazione per sentirlo dichiarare padre naturale della figlia. Il Tribunale di Latina dichiarava la paternità naturale ponendo a carico dell’uomo le spese di CTU e di giudizio.
Proposto appello, la Corte territoriale confermava la sentenza di primo grado.
Avverso quest’ultima decisione veniva proposto ricorso per cassazione.
Infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 269 c.c.
Il ricorrente lamentava che la decisione impugnata non aveva ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 269 per contrasto con l’art. 3 e 30 Cost., avendo confermato l’equilibrio della scelta del legislatore di regolare in modo del tutto diverso la situazione della donna che opti per l’anonimato e quella del presunto padre che neghi la responsabilità genitoriale assumendo che non aveva alcuna volontà di procreare. In particolare secondo il ricorrente le ragioni che inducono i genitori a non riconoscere il figlio sono le medesime e quindi meritevoli di essere trattate allo stesso modo, deducendo che l’art. 269 c.c. non consente al padre di esercitare una libera, cosciente e responsabile scelta di riconoscere o meno il figlio, mentre questo è consentito alla donna, ai sensi del D.P.R. 396/2000.
Assenza della volontà di procreare del presunto padre
La Suprema Corte ha disatteso tali lamentele, ribadendo come l’ assenza della volontà di procreare non è sufficiente per paralizzare il riconoscimento della paternità naturale.
Gli ermellini hanno ribadito che le situazioni del padre e della madre sono differenti e non comparabili. Invero la finalità delle norme sull’anonimato della madre è quella di tutelare la gestante, ove versi in situazioni difficili ed abbia deciso di non tenere con sé il bambino, offrendole la possibilità di partorire e di mantenere al contempo l’anonimato nella conseguente dichiarazione di nascita.
Diritto della madre all’anonimato
La scelta consentita alla sola donna dalla legge n. 194/1978 di interrompere o meno la gravidanza, preservando in tale ultima ipotesi la vita del nascituro, attraverso l’opzione dell’anonimato, non può essere assimilata all’interesse di chi, rispetto alla avvenuta nascita del figlio al di fuori del matrimonio, pretenda, negando la propria volontà di procreare, di liberarsi alla responsabilità genitoriale in contrapposizione con la tutela che l’art. 30 Cost. riconosce alla filiazione naturale.
L’interesse del padre a decidere se assumere o meno la genitorialità
In altre parole l’interesse del padre a decidere se assumere o meno la responsabilità genitoriale non può essere meritevole di tutela, in quanto confliggente con la protezione prevista a livello Costituzionale alla filiazione naturale. Pertanto è consentito tramite l’azione ex art. 269 c.c. attribuire la paternità naturale in base al mero dato biologico, senza aver riguardo all’ assenza della volontà di procreare in capo al presunto padre.
Di talché sulla base di queste considerazioni la Corte di vertice ha ribadito che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 269 c.c., per contrasto con gli artt. 3 e 30 Cost.
Rifiuto del padre a sottoporsi agli esami del DNA
Siccome l’azione diretta alla dichiarazione di paternità naturale non può essere paralizzata eccependo l’ assenza della volontà di procreare in capo al presunto padre, ogni volta che questo si rifiuti in modo del tutto ingiustificato di sottoporsi all’esame del DNA tale comportamento è valutabile da parte del giudice ai sensi dell’art. 116 c.p.c. finanche in assenza di prove di rapporti sessuali tra le parti, in quanto è proprio la mancanza di riscontri oggettivi certi e difficilmente acquisibili circa la natura dei rapporti intercorsi e circa l’effettivo concepimento a determinare l’esigenza di desumere argomenti di prova dal comportamento processuale dei soggetti coinvolti.
Prova della paternità
Da qui la possibilità di dimostrare la fondatezza della domanda anche solo sulla base del rifiuto ingiustificato a sottoporsi all’esame ematologico del presunto padre, valorizzato alla luce delle dichiarazioni della madre, e spesso e volentieri di risultanze testimoniale, che corroborano l’esistenza di una relazione sentimentale tra i genitori durante il periodo compatibile con il concepimento.
Conclusione
Pertanto, allo stato, tramite l’azione ex art. 269 c.c. è possibile attribuire la paternità naturale in base al mero dato biologico, senza aver riguardo all’ assenza della volontà di procreare in capo all’asserito padre.
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