Il diritto del nato da parto anonimo di conoscere le proprie origini

Il diritto del nato da parto anonimo di conoscere le proprie origini in caso di madre deceduta

La Corte di Appello di Catania con decreto 13 gennaio 2016  ha affermato il diritto del nato da parto anonimo di conoscere le proprie origini, anche se la madre deceduta, quando era in vita, non aveva revocato la volontà di mantenere l’anonimato.

La Corte osserva, a tal proposito, che   “nel catalogo aperto dei diritti fondamentali dell’individuo direttamente tutelati dall’art. 2 della Costituzione deve ritenersi compreso il diritto alla identità personale dell’individuo, di cui un aspetto è certamente la conoscenza della proprie origini, qualora la identità giuridica dell’individuo sia stata scissa dalla sua identità biologica… D’altro canto anche il diritto all’anonimato della madre, tuttora previsto  nella legislazione italiana, ha un suo fondamento costituzionale che “riposa, infatti, sull’esigenza di salvaguardare madre e neonato da qualsiasi perturbamento, connesso alla più eterogenea gamma di situazioni” ed è finalizzato a salvaguardare la vita e la salute della madre e del nascituro. Il bilanciamento tra questi contrapposti diritti, entrambi diritti personalissimi e quindi intrasmissibili, dalla Giurisprudenza viene individuato oggi nella riconosciuta facoltà per il nato da parto anonimo di promuovere la ricerca delle proprie origini, che deve però arrestarsi di fronte alla volontà della madre di mantenere l’anonimato”.

Pertanto, secondo il collegio se “vivente la madre il giudice deve garantire la tutela del suo diritto  a mantenere l’anonimato”, nel momento in cui questa muore, il diritto all’anonimato, come ogni altro diritto personalissimo, si estingue in uno con la persona stessa e conseguentemente non è più necessaria né doverosa alcuna operazione di bilanciamento e quindi tal diritto non ha più ragione di essere tutelato. “In tal senso depongono tra l’altro le indicazioni date dallo stesso legislatore il quale all’art. 93 del d. lgs. n. 196 del 2003, ha disposto che «Il certificato di assistenza al parto o la cartella clinica, ove comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata avvalendosi della facoltà di cui all’articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, possono essere rilasciati in copia integrale a chi vi abbia interesse, in conformità alla legge, decorsi cento anni dalla formazione del documento». Ciò significa secondo il Collegio “che il legislatore ritiene non più meritevole di interesse la protezione dell’anonimato quando è decorso un lasso di tempo tale da ritenere estinto il diritto”.

Corte App. Catania, sez. Famiglia, decreto 13 gennaio 2016 (Pres. Acagnino, rel. Russo) in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 14802 – pubb. 22/04/2016