Nella separazione va tutelato il rapporto tra fratelli e sorelle

Nella separazione va tutelato il rapporto tra fratelli e sorelle

Nella separazione va tutelato il rapporto tra fratelli e sorelle, pertanto il giudice non deve adottare provvedimenti di affidamento che comportino la loro separazione e quindi  disporre il loro collocamento  presso un genitore diverso per l’uno e per l’altro, salvo che la collocazione comune non sia contraria all’interesse dei minori alla convivenza.

Questo è quanto affermato dall’ordinanza n. 12957 della Corte  di Cassazione, Sez. I, depositata in cancelleria in data 24.05.2018.

La vicenda riguarda la separazione di una  uomo e una donna, dalla cui unione erano nate due figlie. All’esito del giudizio di separazione il Tribunale di Roma aveva rigettato le reciproche domande di addebito e aveva affidato la figlia minore ai servizi sociali, disponendo la prevalente collocazione di quest’ultima presso il padre regolando la frequentazione con la madre. A carico della donna veniva posto, altresì, un contributo mensile per il mantenimento della figlia pari ad € 300,00 oltre al 50 % delle spese straordinarie. Inoltre il Tribunale capitolino condannava la donna al pagamento di un’ammenda, ammonendo entrambi i genitori a tenere comportamenti di maggior cooperazione nell’interesse della minore.

Avverso la sentenza di primo grado veniva proposto appello. La Corte territoriale accoglieva la domanda di restituzione della somma percepita dalla donna, nel corso del giudizio di prime cure, a titolo di assegno di mantenimento. Inoltre respingeva la richiesta proposta dalla madre della bambina di revoca della condanna al pagamento dell’ammenda ex art. 709 ter c.p.c. e 330 c.c.

Avverso la decisione del giudice di seconde cure la donna proponeva ricorso per cassazione.

La signora lamentava che, in presenza di un rilevante conflitto tra genitori,  alla minore non  era stato nominato  un curatore speciale. Denunciava, altresì,  il mancato ascolto della bambina da parte del giudice, ed in particolare la mancata attenta valutazione della volontà della minore di voler abitare con la madre e la sorella. Volontà questa messa in evidenza dal consulente del giudicante, che aveva ritenuto la madre il genitore più attento ai bisogni della figlia, riscontrando un deciso peggioramento (con tendenza depressiva) della piccola in conseguenza della separazione dalla madre e dalla sorella. Infine censurava la condanna alla restituzione di quanto percepito  a titolo  di mantenimento, nel corso del giudizio di primo grado, fino a quando non aveva trovato una occupazione lavorativa stabile.

In questo contesto il Procuratore Generale ha richiesto la cassazione della sentenza ritenendo che  la tutela del diritto fondamentale di sorellanza e fratellanza impone che nella separazione va tutelato il rapporto tra fratelli e sorelle, i quali, dunque, devono essere collocati presso il medesimo genitore, a meno che non emerga la contrarietà in concreto di tale collocamento al loro interesse.

La Cassazione ha ritenuto di dover condividere, tra l’altro, che nella  separazione va tutelato il rapporto tra fratelli e sorelle, confermando che agli stessi deve essere assicurato il collocamento presso il medesimo genitore.

Gli ermellini hanno, innanzitutto, sottolineato come nel giudizio di separazione coniugale l’audizione del minore infradodicenne capace di discernimento,  da parte del giudice (anche a mezzo  di un consulente), costituisce un adempimento indispensabile, previsto a pena di nullità, laddove si assumono provvedimenti che lo riguardano, salvo che il giudice non lo ritenga, con congrua e puntuale motivazione, manifestamente superfluo o comunque in contrasto con l’interesse del minore.

Per il supremo consesso l’ascolto del minore si differenzia dalla svolgimento della consulenza tecnica, diretta a fornire al giudice tutti quegli elementi indispensabili per adottare il collocamento del minore presso l’uno o l’altro genitore.

Invero l’ascolto è un contatto tendenzialmente diretto tra minore e giudice, che permette al primo di partecipare direttamente al procedimento che lo riguarda. Mentre la consulenza, anche se si avvale dell’ascolto del minore da parte di uno specialista,  è una indagine che prende in considerazione molti fattori tra i quali la personalità, la capacità di cura e di educazione dei genitori, la relazione tra genitore e figlio. Per questo il giudice quando ritiene di non dover procedere all’ascolto deve congruamente motivare la sua scelta, così come deve motivare perché ritiene che l’ascolto effettuato dallo specialista durante le indagini peritali è idoneo a sostituire un ascolto diretto ovvero un ascolto demandato ad un esperto.

Inoltre se il giudice, da un lato, è tenuto a motivare le sue scelte, dall’altro non è tenuto a recepire la volontà del minore né le conclusioni delle indagini peritali. Conseguentemente qualora il giudice ritenga di  non dover seguire la volontà del minore o le conclusioni del suo consulente ha l’obbligo di motivare rigorosamente e specificatamente la sua decisione.

Nel caso in esame, secondo la Corte, nulla di ciò ha fatto il giudice di appello. Infatti di fronte alla chiara volontà espressa dalla bambina di continuare a convivere con la madre e con la sorella, con la quale ha evidenziato di aver un legame affettivo importante e un rapporto di reciproco sostegno, il giudice di seconde cure  non ha fornito una congrua motivazione alla propria decisione.

Pertanto secondo gli ermellini la corte territoriale ha errato nel suo decidere, in quanto  nella separazione va tutelato il rapporto tra fratelli e sorelle e conseguentemente non vanno adottati provvedimenti di affidamento che comportino la loro separazione se non per ragioni ineludibili e, comunque, sulla base di una motivazione rigorosa che evidenzi il contrario interesse del minore a siffatta convivenza. Né la conflittualità genitoriale può costituire, di per sè sola, una giustificazione idonea a far ritenere prevalente l’interesse del minore ad un collocamento diverso rispetto a quello desiderato.

Da ultimo la Corte ha confermato che in sede di separazione personale, la riduzione o la revoca dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge e dei figli decorre di regola dal momento della pronuncia giudiziale che ne modifica la misura o che ne accerta l’inesistenza dei presupposti. Quindi non sono rimborsabili le somme percepite per effetto di precedenti provvedimenti anche non definitivi, quando, per la loro entità le somme versate sono state destinate ad assicurare il mantenimento del coniuge fino alla revoca o si debba presumere, in virtù della esiguità dell’importo, che le stesse siano state consumate per fini di sostentamento personale.

In definitiva per la Suprema Corte, da un lato,  nella separazione va tutelato il rapporto tra fratelli e sorelle,  a cui va assicurato il collocamento presso il medesimo genitore salvo che un siffatto provvedimento sia contrario all’interessi dei minori alla convivenza, dall’altro, la revoca o la riduzione dell’assegno di mantenimento decorre dal  momento della decisione che modifica o revoca l’assegno stesso.