Estromissione del familiare dall'impresa familiare

Estromissione del familiare dall’impresa

L’ estromissione del familiare dall’impresa è sicuramente una facoltà del titolare dell’impresa familiare.

Come tale deve essere riconosciuta come altra causa di scioglimento del rapporto.

Il diritto di interrompere il rapporto, come spetta al familiare collaboratore, deve essere riconosciuto in capo anche all’imprenditore. La facoltà di recesso di una delle parti da un rapporto a tempo indeterminato è principio generale accolto dal nostro ordinamento (basta aver riguardo all’art. 2118 c.c.).

Pertanto non si vede perché tale principio non debba operare nell’ambito del rapporto di impresa familiare; negare tale possibilità significherebbe imporre la continuazione coattiva di un rapporto che ha comunque origine volontaria.

Meccanismi e presupposti dell’ estromissione del familiare dall’impresa

Per quanto riguarda i meccanismi e presupposti dell’ estromissione del familiare dall’impresa, data la sua natura individuale, non sembra possibile far ricorso alla disciplina societaria.

D’altro canto, i meccanismi del licenziamento, sono troppo specifici del contratto di lavoro subordinato per poter essere estesi ad altre ipotesi di prestazioni di lavoro.

In questa prospettiva l’ estromissione del familiare dall’impresa dovrà avvenire innanzitutto nel rispetto delle regole del recesso dei rapporti di durata, a cominciare dall’onere di un congruo preavviso.

Ai fini della tutela dell’aspettativa del singolo collaboratore a prestare la propria opera fino a quando questa risulti utile, si deve ritenere necessaria, perché l’ estromissione del familiare dall’impresa sia lecita, l’esistenza di una giusta causa. In mancanza di quest’ultima, però, non si può ammettere l’inefficacia del recesso, né si può avere come conseguenza la reintegrazione nel posto di lavoro. In tal caso si deve riconoscere al familiare-collaboratore solo il diritto al risarcimento del danno.

Infatti si è acutamente osservato come non si può ordinare la reintegrazione perché il vincolo di famiglia è qualcosa di estremamente delicato: come non si può imporre ai coniugi separati la coabitazione, così non si può imporre la reintegrazione del posto di lavoro familiare, anche se il familiare può addurre valide ragioni per contestare la pretesa dell’imprenditore a questo para-licenziamento.

L’esclusione può riguardare i soli familiari-collaboratori

Le conclusioni raggiunte sono state avallate dalla giurisprudenza. Infatti questa è venuta ad affermare che nell’impresa familiare non è concepibile l’esclusione del titolare, in quanto quest’ultimo non può essere privato della propria attività economica né può essere espropriato dei beni aziendali. Quindi l’esclusione può riguardare i soli familiari collaboratori, ai quali in ipotesi, spetta la liquidazione della loro quota ed eventualmente il risarcimento del danno qualora l’estromissione sia ingiustificata.

Più precisamente la costituzione da parte dell’imprenditore individuale di un’impresa familiare non determina alcuna conseguenza sulla proprietà dell’azienda che era e rimane di detto imprenditore. Quindi l’impresa familiare appartiene sempre al suo titolare, e i familiari partecipanti hanno diritto solo ad una quota di utili e degli eventuali incrementi.

Queste puntuali osservazioni hanno indotto ad escludere la possibilità di far ricorso, ai fini dell’esclusione del familiare, alla procedura dell’esclusione del socio, in quanto la previsione riguarda l’impresa collettiva appartenente per quote (uguali o diverse) a più persone.

Va da sé che nell’ipotesi di dissenso tra titolare e familiare-collaboratore si risolve sempre, anche se risultasse responsabile proprio il primo, con l’ estromissione del familiare dall’impresa.

La liquidazione del diritto di partecipazione

Come in tutti i casi in cui viene meno la partecipazione all’impresa familiare, salvo il caso del trasferimento della partecipazione ad altro soggetto (familiare), l’imprenditore deve liquidare, solitamente in denaro, il diritto di partecipazione del familiare uscente.

Infatti la legge dice che il diritto di partecipazione può essere liquidato in denaro, da ciò desumendosi che nulla osti, con il consenso di tutte le parti, ad una liquidazione in natura.

Comunque appare evidente come la liquidazione in denaro è la forma naturale di soddisfacimento dei diritti del partecipante ed è sicuramente l’unica forma di liquidazione della quota di avviamento.

L’art. 230 bis c.c. prevede che il pagamento possa avvenire in più annualità, che in difetto di accordo, saranno determinate dal giudice tenendo conto degli interessi del singolo e degli interessi dell’intero nucleo familiare.

Vedi anche Estinzione del rapporto di impresa familiare

Vedi anche Quota di partecipazione del familiare nell’impresa familiare

Vedi anche Diritto di prelazione del partecipante all’impresa familiare

Vedi anche Holding familiare di fatto