Nel nostro ordinamento non esiste il diritto del padre a non riconoscere il figlio nato fuori dal matrimonio. Infatti il diritto all’anonimato della donna, non può essere assimilato all’interesse di chi, negando la volontà diretta alla procreazione, intenda sottrarsi alla dichiarazione di paternità naturale.
Questo è il principio di diritto ribadito dalla Corte di Cassazione, Sez. I, con la sentenza 37023 del 26.11.2021.
La vicenda
Una donna citava in giudizio un uomo, con il quale aveva avuto una relazione sentimentale, per sentire dichiarare che lo stesso era il padre della figlia.
L’uomo si sottraeva alle indagini ematologiche e biologiche. Da questo rifiuto, e quindi dal comportamento serbato dallo stesso durante il procedimento, valutato unitamente alle risultanze testimoniali, il Tribunale riteneva dimostrato che era il padre della figlia.
L’uomo proponeva appello avverso la sentenza, rivendicando il diritto ad esercitare una libera, cosciente e responsabile scelta di riconoscere o meno il figlio, ritenendo ingiustificato e costituzionalmente errato la diversa tutela della donna, a cui è riservato il diritto all’anonimato.
La Corte di Appello confermava la sentenza di primo grado.
Avverso tale pronuncia l’uomo proponeva ricorso per cassazione, accampando il diritto del padre a non riconoscere il figlio.
La Suprema Corte riteneva manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale prospettata in ricorso, ritenendo di dover ribadire i principi già costantemente enunciati.
Diritto all’anonimato della donna
A sostegno della propria decisione la corte ha rimarcato le differenti e incompatibili situazioni, rispettivamente del padre e della madre. Infatti la finalità dell’anonimato della madre è quella di tutelare la gestante, ove versi in situazioni difficili ed abbia deciso di non tenere con sé il bambino, offrendole la possibilità di partorire e di mantenere al contempo l’anonimato nella conseguente dichiarazione di nascita. Tant’è che la responsabilità di interrompere la gravidanza, ove non ricorrano le condizioni giustificative, spetta alla sola donna. Tale scelta legislativa è diretta a preservare la vita del nascituro, pertanto l’interesse della donna non può essere assimilato a quello dell’uomo.
In altri termini, secondo gli ermellini, l’interesse del padre a “decidere” se assumersi o meno la responsabilità genitoriale non solo non è meritevole di tutela, ma è confliggente con la protezione, sancita a livello costituzionale, della filiazione naturale. Questo giustifica che sia consentito, tramite l’azione ex art. 269 c.p.c., attribuirgli la paternità naturale in base al mero dato biologico, anche in assenza della sua volontà contraria alla procreazione
Il diritto del padre a non riconoscere il figlio sarebbe in contrasto con la tutela costituzionale della filiazione naturale
Pertanto la Corte ha ribadito di vertice ha ritenuto “che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 269 c.c., per contrasto con gli artt. 3 e 30 Cost., per non essere consentito al padre, e per converso consentito alla madre, di decidere se riconoscere o meno il figlio, attesa la ragionevolezza della scelta legislativa di trattare in modo differenziato situazioni diverse, sottendendo una finalità meritevole di tutela solo quella della madre, in ragione del bilanciamento tra il preminente interesse a preservare la vita del nascituro e la facoltà della madre di mantenere l’anonimato, e non anche quella del padre, il quale intenda sottrarsi, negando la propria volontà diretta alla procreazione, alla responsabilità di genitore, in contrasto con la tutela che la Costituzione, all’art. 30, riconosce alla filiazione naturale“.
Quindi in definitiva non sussiste il diritto del padre a non riconoscere il figlio.
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Vedi anche Diritto del nato da parto anonimo di conoscere le proprie origini in caso di madre deceduta
Vedi anche Padre inadempiente dei doveri genitoriali
Vedi anche Azione di reclamo dello stato di figlio
Vedi anche “Assenza della volontà di proceare”
Vedi anche Riconoscimento del figlio