L’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne può essere riconosciuto o mantenuto purché la non autosufficienza economica dipenda:
a) da una condizione di minorazione o di scemate capacità personali, anche se non sfociano in una misura tipica di protezione degli incapaci;
b) dalla prosecuzione di studi oltre la scuola dell’obbligo, da cui si desuma l’esistenza di un iter volto alla realizzazione delle proprie aspirazioni ed attitudini, che sia ancora ragionevolmente in corso di conseguimento, purché accompagnato da effettivo impegno e adeguati risultati tanto in punto di voti negli esami del corso frequentato quanto in punto alla loro regolarità temporale;
c) l’essere trascorso un lasso di tempo ragionevolmente breve dalla conclusione degli studi, sempre che nell’ambito di questo torno di tempo il figlio si sia attivato nella ricerca di un lavoro;
d) assenza di un qualsivoglia lavoro dopo aver concretamente tentato qualsivoglia ricerca rivolta in qualunque direzione, a prescindere dalla specifica preparazione professionale conseguita.
In particolare, alla luce del principio di autoresponsabilità che si impone nei confronti qualsiasi soggetto maggiorenne, quest’ultimo non può intestardirsi o trastullarsi nell’attesa di reperire il lavoro dei suoi sogni, non potendo abusare del proprio diritto e fare illegittimamente affidamento sull’obbligo dei suoi genitori di adattarsi a svolgere qualsiasi attività pur di sostenerlo oltremodo nella realizzazione (spesso velleitaria) di desideri ed ambizioni personali.
A ciò si aggiunga che con riferimento all’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne – che solo in linea di mero principio rimane estraneo al conflitto tra genitori e ai loro interessi evidentemente contrapposti e sottesi – è stato affermato, giustamente, il diritto alla ripetizione delle somme versate a tale titolo in capo all’ex coniuge che abbia continuato ad adempiere a tale obbligo anche dopo il raggiungimento dell’autosufficienza economica da parte del figlio maggiorenne.
Interpretazione conforme al dato normativo
In questo anno per molti versi sabbatico per la giustizia e non solo, ci sono state alcune pronunce che sono tornate su temi, ormai annosi, che si caratterizzano per la loro portata fortemente innovativa, se così vogliamo dire, in quanto hanno affermato un’interpretazione delle norme sull’affidamento fortemente aderente alla volontà, o presunta tale, del legislatore.
Invero la suprema Corte con l’ordinanza n. 17183/2020 della I sez., del 16.07.2020, ha scardinato alcuni stereotipi giurisprudenziali, da etichettare come “inadeguati”, restituendo ai figli, ormai adulti, un ruolo dignitoso e responsabile del loro ruolo in una società post-moderna.
Ma è bene procedere per gradi.
Il diritto al mantenimento rimane nella realtà centrale nel conflitto tra ex coniugi
Solitamente la questione relativa all’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne diviene centrale nel conflitto tra ex coniugi, in quanto il primo spesso e volentieri non rimane estraneo al conflitto tra i suoi genitori prestandosi a comportamenti strumentali spesso volti a garantire entrate extra a quello che all’epoca era il genitore affidatario, e ciò fino a mascherare se non addirittura a negare un proprio ruolo attivo nel mondo del lavoro, in nome di un’asserita precarietà che ormai è divenuta una costante con cui debbono fare i conti uomini e donne di qualsiasi età.
L’attento lettore capirà che quanto precede è la dovuta premessa nell’affrontare la questione relativa all’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne, che spesso e volentieri finisce per minare del tutto i rapporti che questo ha con uno dei due genitori a tutto vantaggio di chi strumentalizza le aspirazioni e le velleità del figlio in età adulta.
Richieste fondate sulla precarietà del lavoro
La tesi maggiormente sostenuta, dai figli o dal genitori collocatario, è quella secondo la quale il figlio maggiorenne ha un lavoro precario, e di conseguenza ha sempre e per sempre il diritto di ricevere tali mezzi dai genitori, questo in ragione del fatto che non ha raggiunto la completa indipendenza economica nello specifico lavoro prescelto, adeguato alle sue aspirazioni ed inidoneo ad inserirlo, col dovuto prestigio, nel contesto economico-sociale preteso.
La tesi non può essere condivisa, per ragioni di carattere sia logico che giuridico.
Norme sull’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne
La normativa sul mantenimento dei figli è stata novellata dapprima nel 2006 e successivamente nel 2013.
Per quanto qui interessa, in tema di assegno per il mantenimento del figlio maggiorenne, il giudice valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. L’art. 337-septies, comma 1, c.c. lo ha voluto così il legislatore.
La ratio della norma vorrebbe che il tema rimanesse estraneo al conflitto tra genitori, tant’è che la norma testé citata prevede che l’assegno è versato direttamente all’avente diritto, salva diversa determinazione del giudice.
Ma così non è nella maggior parte dei casi, in quanto spesso e volentieri il contributo al mantenimento è stato fissato quando il figlio era ancora un minorenne.
Presupposti del riconoscimento o per la conservazione dell’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne
In virtù del dato normativo, il diritto all’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne dipende dall’esistenza in capo al figlio stesso della qualità di essere “non indipendente economicamente”. Quello che balza immediatamente agli occhi, leggendo la disposizione legislativa, è l’uso del verbo “può”, il che sta a significare come il giudice ha la possibilità di disporre l’assegno, valutate le circostanze. Anche se rimane vero che in altre disposizioni il legislatore ha imposto di disporre l’assegno laddove vengano integrate le circostanze che costituiscono il fondamento del diritto.
Quindi il riconoscimento o il mantenimento dell’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne è rimesso al prudente apprezzamento discrezionale del giudice del merito.
Ruolo della Corte di Cassazione
Questo però non ha impedito alla Suprema corte di dettare, in tema di assegno di mantenimento del figlio maggiorenne a carico del genitore, alcuni parametri di riferimento ai fini dell’uniformità, uguaglianza e corretta interpretazione ed applicazione della norma di cui si va discorrendo.
Principi condivisi
Esaminando la giurisprudenza di vertice, vi sono dei principi che si ritengono pacifici.
Come si è detto la valutazione delle circostanze che giustificano il permanere dell’obbligo di entrambi i genitori (e sottolineo di entrambi) al mantenimento del figlio maggiorenne va affettata dal giudice di merito. Si tratta di un accertamento ancorato a criteri di relatività, in quanto necessariamente correlato alle occupazioni ed al percorso scolastico, universitario e post-universitario del figlio rapportato alla situazione attuale del mercato del lavoro con specifico riguardo al settore nel quale lo stesso abbia incanalato la propria formazione e la propria specializzazione, investendo tempo personale ed sostanze economie familiari.
E’ del tutto evidente che la suddetta valutazione vada condotta con rigore proporzionalmente crescente all’età del beneficiario, in modo da evitare che tale obbligo assistenziale perduri, sul piano giuridico, oltre ogni ragionevole limite di età e di misura, se non addirittura sine die, onde evitare il proliferare di atteggiamenti parassitari di figli ormai adulti ai danni dei loro genitori sempre più anziani.
Funzione educativa dell’obbligo al mantenimento
Infatti se è vero che esiste il diritto del figlio all’istruzione, educazione e mantenimento secondo le proprie capacità, inclinazioni ed aspirazioni, è altrettanto vero che la funzione educativa del mantenimento fa sì che l’obbligo di mantenimento rimanga circoscritto sia in termini di contenuto, che di durata, nell’ambito del tempo mediamente necessario per l’inserimento nel contesto sociale.
Va da sé che il progetto educativo ed il percorso formativo scelto dal figlio, deve essere rispettoso delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni, ma al contempo deve essere compatibile con le condizioni economiche dei genitori.
Inoltre l’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne è, evidentemente, incompatibile con il matrimonio del figlio così come con la convivenza, in quanto espressioni di una raggiunta maturità affettiva e personale.
Principio di autoresponsabilità
Invero, in base al principio di autoresponsabilità in uno con la funzione educativa del mantenimento, il riconoscimento di un siffatto diritto protratto oltre tali limiti in favore dei figli conviventi e sedicenti non autonomi finirebbe per determinare una disparità di trattamento ingiustificata ed ingiustificabile nei confronti dei coetanei che, divenuti autosufficienti, abbiano in seguito perduto tale condizione. Con la conseguenza che solo i primi, infatti, si gioverebbero della più favorevole normativa sul mantenimento, mentre gli altri potrebbero chiedere solo gli alimenti.
Neppure può essere decisiva la situazione economico-patrimoniale del genitore, visto che, al contrario, il diritto e l’obbligo di mantenimento de quo si fondano sulla situazione del figlio e non sulle capacità reddituali dell’obbligato.
In tema di ritenuta autonomia del figlio, nel diritto vivente si è avuta una evoluzione che tiene conto del mutamento dei tempi. Infatti se un tempo si faceva perno sulla raggiunta capacità del figlio di prevedere a sé con appropriata collocazione in seno alla società e alla percezione di un reddito confacente alla professionalità acquisita, oggi, in seguito all’evidente mutazione delle condizione del mercato del lavoro e la non infrequente sopravvenuta mancanza di autonomia di ritorno( anche per i genitori), si ritiene che il fattore dell’avanzare dell’età sia in ogni caso dirimente.
Al di là del fattore età, in ogni caso si deve pretende che il figlio si attivi nella ricerca di un lavoro, in modo da assicurasi un sostentamento autonomo, senza attendere inerme l’auspicato reperimento di un impegno più confacente alle proprie aspirazioni, non potendo, di certo, pretendere che sia il solo genitore a doversi adattare a qualsiasi lavoro.
Obbligo di mantenimento
Dalla mera lettura dell’art. 337 – septies, comma 1, c.c. – si evince che l’obbligo di mantenimento permane a carico dei genitori sino al momento in cui il figlio diventa maggiorenne, sulla base degli artt. 147 e 315 bis c.c., che prevedono, rispettivamente, il dovere di mantenere e quello di essere mantenuto. Trattasi di obbligo a carico dei genitori che si pone sullo stesso piano di quelli di istruzione, educazione e assistenza morale.
Si tratta di doveri che permangono sicuramente fino al raggiungimento della maggiore età del figlio.
Da quel momento subentra il principio che limita il dovere di mantenimento ai soli casi in cui il figlio non è economicamente indipendente. In questo caso si tratta di un obbligo non imposto automaticamente dal legislatore, ma che può, e non deve, essere statuito dal giudice tenuto conto di tutte le “circostanze del caso concreto”.
L’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne viene concesso o conservato non soltanto e non semplicemente perché manchi l’indipendenza economica del figlio. Invero manca ogni tipo di automatismo che opera per i figli minorenni.
Concetto di indipendenza economica
Il concetto di indipendenza economica è stato ricondotto dalla Suprema Corte a quanto necessario per soddisfare le primarie esigenze di vita, secondo la nozione ricavabile dall’art. 36 cost. Pertanto si ha indipendenza economica ogni qualvolta si percepisce una retribuzione che consenta una esistenza dignitosa.
Il legislatore ha fondato, quindi, l’estinzione dell’obbligo di contribuzione dei genitori nei confronti dei figli maggiorenni in concomitanza all’acquisto della capacità di agire e della libertà di autodeterminarsi che consegue al compimento del 18° anno di età.
Dopo tale data l’obbligo al mantenimento a carico dei genitori, ormai privi dei poteri disciplinari e rappresentativi, è strettamente collegato al concreto impegno profuso alla formazione personale, o dove terminata, alla ricerca di un qualsivoglia lavoro.
Questo sta a significare, in armonia con il principio dell’abuso del diritto, che il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne non può sorgere già abusivo, in quanto è necessario che la concreta situazione economica del figlio non sia frutto di scelte irragionevoli e sostanzialmente volte ad instaurare un regime di controproducente assistenzialismo, ovvero del disinteresse per la ricerca della dovuta indipendenza economica.
Quindi è inutile pretendere la fissazione di un limite di età oltre il quale cessa l’obbligo di mantenimento in quanto già esistente e coincidente con il 18° anno di età. Diritto che cessa sempre che non vi sia la prova che esso permanga per l’esistenza di un percorso di studi o, in generale, formativo in fieri, in costanza di un tempo ancora necessario per la ricerca di un lavoro o comunque di una sistemazione che assicuri l’indipendenza economica.
La capacità lavorativa, intesa quale adeguatezza a svolgere un lavoro remunerato, si acquista con la maggiore età, quando per legge si acquista la capacità di agire e di voto.
Dovere del figlio di contribuire al mantenimento della famiglia
Invero in mancanza di prova di circostanze che giustifichino il permanere dell’obbligo di mantenimento, il figlio maggiorenne è tenuto a contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché conviva con essa. Così lo ha voluto il legislatore l’art.315-bis, comma 4, c.c.
Pertanto, il raggiungimento della maggiore età, tanto più quando è matura, implica l’insussistenza del diritto al mantenimento.
Attività di studio
Con riferimento all’attività di studio trascorso un lasso di tempo sufficiente dopo il conseguimento del titolo di studio, non potrà essere sostenuto il diritto del figlio ad essere mantenuto.
Quindi trascorso un lasso di tempo sufficiente per inserirsi nel mondo del lavoro, nulla più è dovuto a titolo di mantenimento.
Tale regola vale in tutti i casi in cui il figlio ritenga di aver concluso il proprio percorso formativo e non abbia, pertanto, l’intenzione di proseguire gli studi per un migliore apprendimento.
In altre parole il diritto al mantenimento non può andare oltre alla durata ufficiale degli studi e del tempo mediamente occorrente per trovare un lavoro ad un giovane laureato, se di laurea si tratta, in una data situazione economica; sempre che il figlio non provi, non solo che non sia stato possibile procurarsi il lavoro oggetto dei suoi desideri per causa a lui non imputabile, ma neppure un altro lavoro sufficiente ad assicurargli l’auto-mantenimento.
Al contempo dovrà valutarsi l’adeguatezza e la ragionevolezza delle opzioni formative prescelte dal figlio, in considerazione delle condizioni della famiglia, alla quale non è possibile imporre un contributo eccessivamente gravoso e non rientrante nelle sue concrete possibilità economiche, tenuto conto che il figlio, sulla base del principio di buona fede, non può imporre un eccessivo sacrificio alle altrui esigenze di vita.
Semmai in tali casi potranno soccorrere le sovvenzioni che lo stato mette a disposizione degli studenti più meritevoli.
Di tal chè, in linea di principio, maggior tutela meriterà il figlio che prosegua gli studi con impegno, diligenza e passione, rispetto a chi si trascini stancamente in un percorso di “studi” non proficuo.
Tipo di impiego
Con riferimento al tipo di lavoro che il figlio è tenuto a ricercare non è certamente vincolante la preparazione conseguita, visto che è dovere del figlio ricercare comunque l’autosufficienza economica, secondo il principio di autoresponsabilità, per poi raggiungere, se in grado, con le proprie forze gli obiettivi ambiti.
Riconoscimento e mantenimento dell’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne
In sostanza, come si è già detto, l’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne può essere riconosciuto o mantenuto purché la non autosufficienza economica dipenda:
a) da una condizione di minorazione o di scemate capacità personali, anche se non sfociano in una misura tipica di protezione degli incapaci;
b) dalla prosecuzione di studi oltre la scuola dell’obbligo, da cui si desuma l’esistenza di un iter volto alla realizzazione delle proprie aspirazioni ed attitudini, che sia ancora ragionevolmente in corso di conseguimento, purché accompagnato da effettivo impegno e adeguati risultati tanto in punto di voti negli esami del corso frequentato quanto in punto alla loro regolarità temporale;
c) l’essere trascorso un lasso di tempo ragionevolmente breve dalla conclusione degli studi, sempre che nell’ambito di questo torno di tempo il figlio si sia attivato nella ricerca di un lavoro;
d) assenza di un qualsivoglia lavoro dopo aver concretamente tentato qualsivoglia ricerca rivolta in qualunque direzione, a prescindere dalla specifica preparazione professionale conseguita.
Naturalmente il giudice nella sua valutazione potrà far riferimento ai dati statistici, da cui risulti il tempo medio necessario, in un dato momento storico, per il conseguimento di una occupazione, anche in considerazione, eventualmente, del grado di preparazione conseguito.
Onere della prova del diritto ottenere o conservare il mantenimento
Da quanto precedere deriva che l’onere della prova delle condizioni che giustificano il matenimento è a carico del richiedente.
Infatti come si è detto l’obbligo al mantenimento cessa con la maggiore età del figlio, successivamente l’obbligo sussiste solo se stabilito dal giudice.
Quindi spetta al figlio dimostrare, da un lato, la mancanza di indipendenza economica, dall’altro di aver curato, con tutto il possibile impegno la propria preparazione professionale o tecnica e di essersi adoperato con pari impegno nella ricerca di un lavoro.
Pertanto non è il genitore a dover dar prova dell’effettiva e stabile indipendenza economica del figlio o della circostanza che lo stesso abbia conseguito un lavoro adeguato alle proprie aspirazioni soggettive. Il tutto anche in virtù del principio della vicinanza della prova.
Ricorso alla prova presuntiva
Ciò non toglie che l’esistenza del diritto al mantenimento potrà essere dimostrata con ogni mezzo, ivi comprese le presunzioni.
Sono molte circostanze della vita che possono integrare la prova presuntiva circa l’esistenza del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne, in quanto, da esse circostanze si può facilmente desumere che lo stesso risulti incolpevole ovvero inesigibile la conquista di una posizione lavorativa.
In ogni caso l’onere della prova risulterà meno gravoso in prossimità della maggiore età, o gli anni successivi alla stessa se il soggetto abbia intrapreso, ad esempio, un serio e non pretestuoso studio universitario (che da luogo ad una evidente prova presuntiva).
Viceversa man mano che gli anni del figlio aumentino la prova del diritto all’assegno di mantenimento sarà più gravosa, vista l’operatività il più volte richiamato principio di autoresponsabilità.
Volontaria elargizione dell’assegno da parte del genitore
Ovviamente nulla vieta che il genitore assuma volontariamente un siffatto obbligo di mantenimento, il che risulta del tutto ammissibile anche al di fuori delle condizioni sopraindicate. Ciò in virtù del principio della libera autodeterminazione delle opzioni della famiglia.
Conclusioni
Risulta a questo punto del tutto evidente che il negare o revocare il diritto all’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne svolga anche esso una funzione educativa, contro forme di inerzia, di parassitismo e di pigrizia dovuta da eccessivo “benessere”.
In tale ottica deve essere accolta sul piano sociale, prima ancora che giuridico, l’applicabilità dell’istituto generale della ripetizione dell’indebito, ogni qualvolta il genitore tenuto a versare l’assegno, spesso sotto minaccia talvolta poco velata dell’altro, continui a pagare nonostante l’intervenuto raggiungimento dell’indipendenza economica da parte del figlio.
Vedi anche “L’obbligo di mateninimento non rivive se il figlio maggiorenne perde il lavoro”
Vedi anche “Cessazione dell’obbligo di mantenimento del figlio”