Il recesso per giusta causa dalla società di persone va effettuato nel rispetto del principio di correttezza e buona fede. Pertanto, il suo legittimo esercizio deve essere valutato nel contesto dei concreti rapporti intercorsi tra i soci. Di talché si deve escludere che, in una società in nome collettivo composta da due soli soci, a fronte dell’inadempimento dell’altro socio ai propri obblighi gestori, seguito da un periodo di tolleranza, il socio uscente debba necessariamente mettere in mora il primo e richiedere il predetto adempimento prima di poter validamente esercitare il proprio diritto di recesso
Questo è quanto statuito dalla Corte di Cassazione, sez. I, 08 Luglio 2022, n. 21731.
La vicenda
A causa della latitanza dell’altra socia nella gestione della società, una donna recedeva dalla società stessa.
Il collegio arbitrale che, in virtù del contratto sociale si era occupato della questione, aveva ritenuto sussistente la giusta causa di recesso ex art. 2285 c.c., nonostante che la recedente non avesse mai contestato alcunchè all’altra socia nel corso del rapporto sociale.
Nel lodo arbitrale è stata ritenuta sussistente la giusta causa del recesso della società, in quanto l’altra socia sin dalla costituzione della società, avvenuta nel 2002, non si era mai occupata della gestione societaria, ma si era limitata esclusivamente ad intrattenere rapporti con la banca, ciò in violazione dell’art. 2257 c.c.. Invero quest’ultima disposizione prevede che «salvo diversa pattuizione, l’amministrazione della società spetta a ciascuno dei soci disgiuntamente dagli altri». Del resto, l’art. 2293 c.c. stabilisce che «la società in nome collettivo è regolata dalle norme di questo capo e, in quanto queste non dispongano, dalle norme del capo precedente»
La Corte d’Appello, in sede di impugnazione avverso la decisione degli arbitri, escludeva la violazione da parte degli stessi del principio di cui all’art. 1375 c.c. Secondo la Corte territoriale da tale norma non poteva farsi discendere un obbligo del socio di sollecitare l’altro socio, inadempiente, prima di esercitare la sua facoltà di recesso per giusta causa, né la tolleranza di una situazione di fatto, anche per un tempo rilevante, comportava una preclusione legale al riguardo.
Avverso siffatta decisione veniva proposto ricorso alla Corte di vertice, per violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c.
Decisione degli ermellini
I supremi giudici, hanno confermato la decisione della Corte di Appello in quanto il recesso per giusta causa dalla società di persone era stato esercitato legittimamente.
Tolleranza nell’inadempimento nel recesso per giusta causa dalla società di persone
Invero la Corte ha affermato che, in tema di estinzione dell’obbligazione, al di fuori dei casi in cui gravi sul creditore l’onere di rendere una dichiarazione volta a far salvo il suo diritto di credito, il silenzio o l’inerzia non possono essere interpretati quale manifestazione tacita della volontà di rinunciare al diritto di credito, volontà che non può, pertanto, formare oggetto di presunzioni .
Principio di correttezza e buona fede
D’altro canto il principio di correttezza e buona fede – il quale, secondo la Relazione ministeriale al codice civile, «richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore» – deve essere inteso in senso oggettivo in quanto enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2 della Costituzione, che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, sicché dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche di per sé, un danno risarcibile.
L’impegno imposto dall’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza va, quindi, correlato alle condizioni del caso concreto, alla natura del rapporto, alla qualità dei soggetti coinvolti, dovendo valutarsi alla stregua della causa concreta del contratto.
Legittimità del recesso per giusta causa dalla società di persone
Nel caso di specie gli ermellini hanno ritenuto che la Corte d’appello abbia ritenuto il principio di correttezza e di buona fede avendo tenuto conto della situazione di fatto, il tempo intercorso tra la costituzione della società ed il recesso, nonché le attività svolte rispettivamente dalle due socie. Rispettando il principio di diritto per il quale: la legittimità dell’esercizio del diritto di recesso deve essere, cioè, valutata nel complessivo contesto dei rapporti intercorrenti tra le parti, al fine di accertare se tale recesso sia stato o meno esercitato secondo modalità e tempi che non rispondono ad un interesse del titolare meritevole di tutela, ma soltanto allo scopo di arrecare danno all’altra parte.
Pertanto i giudici supremi hanno ritenuto che il recesso per giusta causa dalla società di persone sia stato esercitato in modo del tutto legittimo.