L’azione di disconoscimento della paternità mira a vincere, relativamente al figlio concepito in costanza di matrimonio, la presunzione di paternità del marito della madre.
Generalità del disconoscimento della paternità
Infatti, l’azione di disconoscimento della paternità può essere esercitate nell’ipotesi in cui si assuma che il marito della madre, menzionato nell’atto di nascita come padre del bambino, in virtù della presunzione prevista dalla legge, non sia tale nella realtà poiché la generazione è opera di un altro uomo.
Promovendo l’azione di disconoscimento della paternità, quindi, è consentito provare che il figlio, nato in costanza di matrimonio, non è stato generato dal marito della madre, facendo così prevalere la realtà biologica rispetto a quella solo presunta dalla legge, sulla base di regole di esperienza.
Non può essere proposta l’azione di disconoscimento della paternità, ove manchi del tutto l’atto di nascita ovvero quando nello stesso non è menzionato come padre il marito della donna, che ha dato la luce il figlio.
Per effetto dell’esercizio vittorioso di codesta azione si ottiene, in via retroattiva, la rimozione dello stato di figlio in virtù di una sentenza costitutiva che fa venir meno l’operatività di quella presunzione di paternità, rendendo possibile l’attivazione degli strumenti per l’accertamento dello stato di figlio. Tale accertamento a quel punto potrà avvenire o per mezzo del riconoscimento del figlio da parte del padre biologico ovvero attraverso la dichiarazione giudiziale di paternità.
Quale è il presupposto per l’esercizio dell’azione di disconoscimento della paternità?
Il presupposto per l’esercizio dell’azione di disconoscimento della paternità è la nascita di un figlio nato vivo. Pertanto l’azione può essere promossa anche laddove il figlio sia nato vivo e sia deceduto subito dopo il parto, poiché in tal caso è diventato persona ed ha acquisito diritti, che vengono trasmessi.
Viceversa, va esclusa la possibilità di proporre l’azione prima della nascita. Ciò che preclude l’esercizio è l’inesistenza di un titolo di stato. Invero l’interesse ad agire postula l’esistenza del titolo di stato, o del possesso di stato, in capo al soggetto, nei confronti del quale sia proposta l’azione di disconoscimento della paternità. In altre parole fino a quando non sia stato formato l’atto di nascita, dal quale risulti ch il figlio nato sia stato denunciato come figlio del marito della madre, non è attuale lo stato di nascita oggetto del disconoscimento. Pertanto l’azione è ammissibile solo se diretta a contestare uno stato documentato dall’atto di nascita.
Ciò sta a significare che ad essa non si deve ricorrere quando manca del tutto l’atto di nascita ovvero quando come padre non è in esso menzionato il marito della madre.
Chi può proporre l’azione di disconoscimento della paternità?
Ai sensi dell’art. 244 c.c. l’azione di disconoscimento della paternità può essere promossa dal marito della donna che ha generato il figlio, dal figlio ovvero dalla madre dello stesso.
Con riguardo al figlio, se maggiorenne può promuovere personalmente l’azione. Se minorenne, l’azione di disconoscimento della paternità può essere promossa da un curatore speciale, nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del figlio che abbia compiuto i 14 anni, o del Pubblico Ministero ovvero dell’altro genitore, se trattasi di soggetto minorenne di età inferiore ai 14 anni.
Il fatto che il figlio è ammesso ad esercitare l’azione costituisce fatto di notevole importanza, in quanto sta a significare che lo stesso può optare per la conservazione del proprio status di figlio, laddove ciò possa procurargli eventualmente anche vantaggi patrimoniali (anche per via successoria), o per la sua perdita affinché emerga la vera paternità biologica.
Nulla è previsto nel caso in cui la madre o il padre siano minorenni.
Se il padre o la madre, ovvero entrambi sono interdetti per infermità di mente o in condizioni di grave infermità mentale l’azione può essere esercitata dal tutore o, in mancanza, da un curatore speciale previa autorizzazione del giudice.
Se è il minore ad essere interdetto per infermità di mente o si trova in condizioni di grave infermità mentale, l’azione può essere promossa da curatore speciale, nominato su istanza del pubblico ministero, del tutore, dell’altro genitore, sempre previa autorizzazione del giudice.
Il padre biologico può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità?
L’azione di disconoscimento della paternità non può essere esercitata dal genitore di sangue. Pertanto al padre biologico è precluso il diritto al riconoscimento.
Il vero padre, il quale ha un interesse soprattutto morale all’emersione della realtà biologica, può solo provocare l’intervento del PM.
Entro quali termini è possibile esercitare l’azione di disconoscimento della paternità?
L’art. 244 c.c. prevede severi termini per la presentazione dell’azione di disconoscimento della paternità, che sono diversi a seconda del legittimato attivo. Si tratta di veri e propri termini di decadenza, il cui mancato rispetto è rilevabile d’ufficio dal giudice.
Il marito della madre (presento padre) può esercitare l’azione, entro 1 anno dalla nascita (se si trovava nel luogo in cui la moglie ha partorito), o dal suo ritorno nel luogo di nascita del figlio o di residenza della famiglia se da quel luogo se ne era allontanato ( anche se in quel periodo era già a conoscenza dell’infedeltà della moglie), oppure dal momento (se successivo) in cui è venuto a conoscenza dell’adulterio o dell’incapacità di generare o del ricorso alla fecondazione eterologa (senza il suo consenso) da parte della moglie.
Nell’ipotesi di adulterio, commesso all’epoca del concepimento, il termine di decadenza per l’esercizio dell’azione inizia a decorrere dalla scoperta in maniera certa dell’adulterio stesso.
La madre può promuovere l’azione entro 6 mesi dalla nascita o dalla conoscenza dell’incapacità di generare del marito. L’azione non può essere proposta decorsi cinque anni dalla nascita del figlio.
Siffatti termini non decorrono, in ogni caso, ove non sia stato formato l’atto di nascita in costanza del matrimonio.
Il termine specifico, altresì, non decorre se il legittimato attivo sia interdetto per infermità di mente ovvero versi in condizioni di grave infermità di mente. Ma in tal caso l’azione può essere promossa dal tutore per tutto il periodo di durata dell’interdizione.
Imprescrittibilità dell’azione per il figlio
Per il figlio l’azione è imprescrittibile, pertanto potrà dallo stesso essere esercitata in qualsiasi momento senza limiti di tempo.
L’azione di disconoscimento della paternità, ove il legittimato attivo non sia decaduto dal diritto di proporla, è trasmissibile ai prossimi congiunti, ma non agli eredi.
Così nel caso di morte di uno dei legittimati attivi l’azione si trasmette:
- nell’ipotesi di morte del presunto padre o della madre ai loro discendenti ed ascendenti. In tal caso per questi soggetti inizia a decorrere un nuovo termine decadenziale della stessa durata di quello che era previsto per l’azione spettante al defunto legittimato. Il termine inizia a decorrere dalla morte della madre o del padre oppure, per i discendenti quello di raggiungimento della maggiore età o dalla nascita qualora si tratti di discendente postumo;
- nel caso di morte del figlio sono legittimati il coniuge e i discendenti dello stesso. Essi posso agire a pena di decadenza entro un anno dalla morte del figlio o dal raggiungimento della maggiore età da parte di ciascun discendente.
Contro chi può essere esercitata l’azione di disconoscimento della paternità?
Legittimati passivi sono il presunto padre, la madre e il figlio, che sono litisconsorti necessari. Se una delle parti è minore o interdetta, deve intervenire la nomina di un curatore speciale. In caso di morte la legittimazione passiva si trasmette agli stessi soggetti ai quali si trasferisce la legittimazione attiva, in mancanza di questi si trasmette ad un curatore speciale.
Può essere esercitata l’azione di disconoscimento della paternità in caso di fecondazione eterologa?
L’azione di disconoscimento della paternità non è ammessa, nonostante l’incompatibilità genetica fra padre e figlio, nel caso in cui la moglie si sia sottoposta a pratiche di fecondazione eterologa con il consenso del marito.
Può essere esercitata l’azione di disconoscimento della paternità in caso di violenza?
L’azione di disconoscimento della paternità, altresì, non è ammesso, nonostante l’incompatibilità genetica fra padre e figlio, nel caso in cui la moglie abbia subito violenza da parte di un terzo, non ricorrendo l’adulterio ovvero l’interesse del minore al disconoscimento della paternità.
Interesse del minore al disconoscimento della paternità
Per l’esito positivo dell’azione di disconoscimento della paternità occorre che la rimozione dello status di figlio sia conforme all’interesse del minore. Pertanto il giudice è chiamato a verificare se per il minore l’emersione di una diversa paternità biologica provocherebbe allo stesso un trauma con il rischio di comprometterne l’equilibrio psicologico ed il benessere. Di talché il giudice è chiamato a giudicare in modo tale che non vi sia il rischio di stravolgere la vita e la serenità del minore e di tutta la sua famiglia.
In altre parole il giudice, chiamato a decidere in ordine all’azione di disconoscimento della paternità promossa con riguardo ad un figlio minore, deve valutare l’interesse di quest’ultimo ai fini di soddisfare l’esigenza di evitare che l’eventuale mutamento dello “status” familiare possa pregiudicarne gli equilibri affettivi, psicologici e pedagogici non solo del minore.
D’altro canto il favor veritatis non è un principio di rilevanza costituzionale assoluta tanto più che l’art. 30 della costituzione conferisce al legislatore ordinario il potere di attuale, in una materia delicata come quella degli status personali e familiari, di operare un equo e fecondo contemperamento tra l’esigenza della verità e l’esigenza della certezza.
Pertanto, come è stato autorevolemte affermato in tema di scambio di embrioni, assume un ruolo centrale il diritto del minore a conservare la sua identità familiare. Infatti il diritto alla personalità costituito dal diritto all’identità appare sempre più sganciato dalla verità genetica della procreazione e sempre più legato al modo degli affetti ed al vissuto della persona cresciuta ed accolta all’interno della famiglia.
Prova per contestare le risultanze dell’atto di nascita
Le norme in materia di azione di disconoscimento della paternità, oggi, escludono limiti all’esperibilità dell’azione, fatta eccezione per il caso in cui sia maturato il termine decadenziale.
Il legisatore ha lasciano ampia possibilità di prova per contestare le risultanze dell’atto di nascita.
D’altro canto in sede di azione di disconoscimento della paternità è necessario che l’attore dimostri, rigorosamente, che il marito della madre non è il padre del figlio partorito dalla moglie.
Dichiarazione della moglie
La sola dichiarazione della donna non è sufficiente a fondare la domanda. Detta dichiarazione potrà essere valutata dal giudice solo come elemento di prova, nel quadro delle altre risultanze processuali.
Prova genetica
La prova genetica e quella del sangue sono ormai le prove regine di questi processi. Pertanto il marito-presunto padre, oggi, è agevolato nel provare di non essere il padre reale, dimostrando, ad esempio che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno, incompatibili con le proprie, senza dover dar prova preliminarmente dell’adulterio o del celamento della gravidanza.
Se la prova genetica e quella ematologica non sono possibili o dovessero lasciare dei dubbi, l’attore può, in ogni caso, ricorrere ad altri mezzi di prova, dai quali deve emergere che il marito della madre non è padre del bambino. Così potrà provare che il concepimento è avvenuto durante il periodo di lontananza ininterrotta, ovvero che il marito della moglie era affetto da impotenza durante il medesimo periodo. Viceversa non costituisce prova sufficiente la confessione della donna di aver commesso adulterio, dal momento che la moglie fedifraga potrebbe aver avuto rapporti anche con il di lei marito. In tal caso potrebbe soccorrere il fatto che il marito, presunto padre, ha un’età molto avanzata, che rende verosimile la difficoltà di generare.
Rifiuto di sottoporsi agli esami genetici o ematici
Il rifiuto immotivato del marito o del figlio di sottoporsi agli esami genetici o ematici consente al giudice di trarre da siffatto comportamento argomenti di prova, decisivi ai fini dell’accoglimento della domanda.
Prelievo del DNA di una persona deceduta
Per quanto riguarda il prelievo di tessuto corporeo di una persona defunta, secondo una prima opinione, non è richiesto il consenso dei congiunti del defunto, secondo altri, anche in presenza di un siffatto consenso, l’interesse dell’attore deve considerarsi ingiustificato, in quanto l’atto sarebbe contrario al sentimento di pietà dei defunti.
Quali sono gli effetti del disconoscimento della paternità?
L’esito vittorioso dell’azione di disconoscimento della paternità fa venir meno lo status di figlio, sicché la sentenza va annotata a margine dell’atto di nascita (art. 49 Ord. Stato civile). Con tale sentenza il figlio perde, con effetto retroattivo, rispetto al presunto padre lo status di figlio. Dall’atto di nascita quindi è rimossa la menzione della paternità del marito della madre e il figlio risulterà iscritto nei registri dello stato civile solo come figlio della donna che lo ha generato e di padre ignoto.
Successivamente il figlio potrà essere riconosciuto dal padre biologico ovvero potrà agire per la dichiarazione giudiziale di paternità.
La rimozione dello stato di figlio comporta che il figlio perda il diritto all’uso del cognome del marito della madre, salvo che il giudice gli riconosca il diritto a mantenerlo, ove lo stesso sia divenuto stabile segno distintivo di identificazione personale.
A seguito di accoglimento dell’istanza di disconoscimento al marito della madre è inibito ripetere quanto dallo stesso speso per mantenere il figlio, in quanto tale comportamento rientra nell’ambito dell’adempimento dell’obbligazione naturale ex art. 2034 c.c.
Viceversa sarà risolubile la delazione ereditaria avvenuta in base al testamento che abbia chiamato all’eredità soltanto i figli nati nel matrimonio di una determinata persona vivente al tempo della morte del testatore, benché non ancora concepiti (art. 462, ult. cpv. c.c.).
Nei casi in cui l’azione di disconoscimento della paternità sia respinta si ritiene che non possa essere riproposta da altri legittimati, anche se per gli stessi non sia ancora spirato il termine decadenziale.
La competenza
La competenza a conoscere dell’azione di disconoscimento della patenità è sempre stata del tribunale ordinario. La domanda va propoposta nelle forme del rito ordinario e quindi con atto di citazione, dato che si verte in materia di status.
La competenza territoriale
Quanto alla competenza territoriale occorre far riferimento all’art. 18 c.p.c. e dunque al giudice del luogo di residenza o di domicilio di uno dei convenuti.